Trasferta in Brasile – L’esperienza missionaria di don Paolo Allegro

Mentre scrivo, sto fissando lo sguardo su un mappamondo e mi rendo conto della vastità del Brasile, pari a quella dell’Europa! Ed è proprio in questa nazione dell’America Latina che, nel periodo tra l’8 aprile e il 6 luglio scorso, ho vissuto un’esperienza missionaria, all’interno del cammino del Seminario e in vista dell’ordinazione presbiterale. Precisamente mi trovavo nella periferia di Boa Vista, capitale dello stato settentrionale di Roraima, ospitato presso la comunità dei fidei donum vicentini don Attilio Santuliana, don Enrico Lovato e don Lorenzo Dall’Olmo. 

Mi piace considerare questa esperienza come un piccolo Erasmus, dove sono stato quasi catapultato in un mondo per me sconosciuto e del quale ho potuto conoscere la sua storia, la sua cultura e le sue tradizioni. Ciò vale anzitutto per la Chiesa stessa che, pur essendo la medesima a cui appartengo, ha tutta una sua originalità e complessità. 

Direi innanzitutto che è una Chiesa giovane, aperta al futuro, grazie alla forte percentuale di bambini, e tutto ciò rappresenta un segnale di gioia e di speranza. È un capitale umano sul quale la Chiesa, nella sua povertà materiale, fonda tutta la sua ricchezza. Questa serenità l’ho percepita anche nelle liturgie, cariche di canti e di gestualità, come pure in tutta la pietà popolare, vissuta con semplicità e affetto. 

La comunità dell'area missionaria alla messa di saluto a don Paolo
Disegno della cattedrale di Boa Vista

In secondo luogo è una Chiesa molto impegnata nel sociale, attenta ad incarnare il Vangelo di Cristo nelle grandi sfide della contemporaneità, senza la paura di stare dalla parte degli ultimi. Penso alla questione ecologica, relativa alla foresta dell’Amazzonia continuamente preda delle multinazionali, ma anche alla difesa delle comunità indigene e all’accoglienza dei migranti dal Venezuela. Proprio i nostri fidei donum hanno avviato di recente un progetto sociale, denominato O poco da samaritana, dove, con l’aiuto di diversi volontari, propongono attività che favoriscono l’integrazione di numerose famiglie brasiliane e venezuelane. Anch’io ho avuto modo di collaborare in questo progetto, in particolare durante i pomeriggi del recupero scolastico e sono grato al Signore per tutti i giovani e bambini incontrati, spesso con storie ferite alle spalle. Ho capito come a loro bastasse, più che qualche aiuto per gli esercizi scolastici, un po’ di attenzione sincera e paziente…

Pensando sempre al volto di Chiesa che ho incontrato in Brasile, il mio pensiero ritorna ai nostri cari fidei donum che, come dice la loro denominazione, sono un vero e proprio dono per la diocesi di Roraima, assieme naturalmente agli altri religiosi e religiose là presenti, come le Orsoline di Vicenza, oppure ai fidei donum di Padova e Treviso. Proprio durante la mia permanenza ho potuto partecipare alla messa di presa di possesso di un prete padovano, don Lucio Nicoletto, ora vescovo prelato di São Felix, una cittadina povera della regione del Mato Grosso; a lui va la mia, e direi anche la vostra, preghiera per questa nuovo servizio, certamente non facile. 

Ringrazio don Attilio, don Enrico e don Lorenzo per l’accoglienza fraterna dimostratami, ma soprattutto per avermi aiutato ad inserirmi nelle attività dell’area missionaria. Senza dubbio ognuno di loro vive l’essere fidei donum con il proprio carisma e originalità, a cominciare dalla propria esperienza: se infatti don Enrico è in Brasile da quasi dieci anni, don Attilio lo è da quasi trentasette anni… pari alla mia età anagrafica! 

Don Lorenzo, invece, è l’ultimo arrivato ed è lì dal 2021. Vorrei fare mia una sua affermazione: «In missione una delle povertà che si sperimenta è la povertà di riferimenti». Già: la distanza fisica dal contesto in cui sei nato ti porta a confrontarti non tanto con una povertà materiale, ma piuttosto con quella legata a dei riferimenti e delle sicurezze provenienti dalle proprie abitudini e dai propri modi di pensare, ma soprattutto dalla lontananza dalle tue amicizie, dalla tua famiglia e dal tuo presbiterio di appartenenza, che di certo non possono essere colmate con delle semplici videochiamate. In fondo, però, è in questa povertà che si gioca l’essere missionario fidei donum: non soltanto nell’evangelizzare e nel battezzare, ma prima di tutto nel ritrovare giorno per giorno la centralità della tua vita, della tua vocazione, del tuo sì in Cristo, unico vero riferimento e sicurezza che conta e che rimane, anche nei territori più vasti e irraggiungibili del pianeta. 

don Paolo Allegro